RPA: non è un salvagente! Come evitare il rischio boomerang

La Robotic Process Automation (RPA) è quella tecnologia che applica la materia della robotica ai processi aziendali, per automatizzarli e svincolare le persone dalle attività più ripetitive, in modo che possano concentrarsi su lavori più a valore aggiunto. È applicabile a diversi contesti e progetti aziendali. Primo tra tutti i progetti di Business Process Management, che si occupano di mappare ed ottimizzare tutti i processi aziendali. In questo caso si individuano i processi più ripetitivi, e si automatizzano con la RPA. O meglio, li si automatizza applicando ai processi una tecnologia RPA.

Il rischio maggiore quando si parla di RPA è risultare “vittime” della moda.

Ci sono tendenze che vanno e vengono, ma alcune sono evergreen perché irrinunciabili. Inimmaginabile, per esempio, una tavola rotonda senza moderatore. O un progetto senza PM. O un’applicazione senza un Database. Oggi  una tecnologia che sembra essere la panacea di tutti i mali è l’RPA. Ma è davvero così? Ma soprattutto: come si affronta un progetto RPA? L’errore più comune è affrontare un progetto RPA come un progetto ERP.

Differenze tra un progetto RPA e un ERP

I progetti RPA sono profondamente diversi dai progetti classici, per esempio il customizing di un ERP. Mentre in un progetto classico l’accento va messo sulle funzionalità da mettere a disposizione dell’utente in maniera più ergonomica ed efficace possibile in un processo end to end, in un progetto RPA bisogna concentrarsi sui “piccoli passi”. Il processo nella sua interezza è già stato modellizzato dall’applicazione sulla quale si sta implementando la tecnologia RPA, ora stiamo emulando l’utente che usa l’applicazione (più qualche altro benefit, ad esempio le query sui sistemi esterni).

Processi RPA: i passaggi

Quali sono i passaggi principali di un progetto RPA? Come dicevamo, per piccoli passi: si apre l’applicazione, si controlla quali sono le parti atomiche enucleabili nell’operatività e si automatizzano. Per step. Poi si portano in test e si controllano (il cosiddetto “Run & Watch”). Poi si prende un altro pezzetto atomico e di nuovo, test e controllo. Solo successivamente, se possibile e se dà dei vantaggi, si unisce al precedente. E così via. Citando il collega Diego Garbagnati “bisogna seguire il REME, solo con il REME riuscirai a sopravvivere!

Ma cos’è il REME? È l’acronimo di Reliable Efficent Maintainable Extensible, che è sostanzialmente una lista di caratteristiche che i robot devono avere. Tutti i Robot devono avere queste quattro specificità per essere di successo. Altrimenti, lungi dall’essere funzionali ed effettivamente utili, diventano un incubo.

I limiti della RPA

Si può robotizzare tutto? Ovviamente No. Cosa mette in crisi i robot? In primis un processo destrutturato. Un robot è come un treno, ha bisogno di semafori e scambi, non di prateria. Una RPA necessita poi di informazioni molto pratiche da mettere in atto. Uno dei peggiori nemici sono ad esempio le applicazioni da far vedere su più monitor, oppure processi che devono passare da un sistema operativo ad un altro.

È per questo che la RPA va utilizzata solo come braccio armato di un processo strutturato con un sistema di Business Process Management, e non come motore di processo. Si può pensare al BPM come a un corpo umano, dove la RPA è il braccio e l’Intelligenza Artificiale il cervello.

Conclusioni

Quindi: piccoli passi, logica funzionale a monte e soprattutto REME REME REME! In Horsa è il nostro mantra!

Alla luce di questo, possiamo dire che la RPA sia la tecnologia in grado di risolvere tutti i problemi aziendali? Purtroppo no. Ma apporta degli indubbi vantaggi sull’efficienza di integrazioni tra applicazioni o anche sull’automazione di procedure ripetitive.

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