Non solo smart working: come organizzare persone e sistemi per un’azienda collaborativa

Lavoro collaborativo: non è solo questione di smart working. Va da sé, durante il lockdown tutti hanno dovuto farci i conti: siamo stati proiettati in un mondo collaborativo “da remoto”, con strumenti esponenzialmente performanti, con opportunità potenzialmente infinite, senza però un’organizzazione sottostante che rendesse questo tipo di lavoro effettivamente efficace. Come migliorare, quindi, la collaborazione da remoto e renderla davvero strategica per l’azienda?

Fatte salve le attività che da remoto non possono essere svolte, o che possono essere svolte con alcune accortezze, occorre specificare che per lavorare da remoto solitamente si punta molto sul risultato. Lo smart working funziona perché “si lavora per obiettivi”. Ma quanto sforzo costa raggiungere gli obiettivi? Più o meno di prima? Il rischio di far diventare tutto molto più farraginoso è alto.

Il difficile è trovare il tradeoff tra eccessiva organizzazione (si fa solo ed esclusivamente ciò che è consentito) e la collaborazione anarchica (faccio come mi piace).

Ci sono alcuni accorgimenti che possono sicuramente aiutare, non solo lo smart working. Eccone alcuni:

  • Applicare tassonomie[1].  I documenti sono alla base della condivisione di contenuti. Può suonare obsoleto e superato dai tag, metatag e sistemi di indicizzazione dei contenuti, ma ad oggi tutti cercano i documenti per caratteristiche del documento stesso (si cerca una fattura per numero fattura e non c’è modo di fare una ricerca alla Google sul numero fattura). In universi chiusi e condivisi come le fatture è facile; su tipologie diverse il sistema di classificazione deve essere condiviso, altrimenti non si trova più nulla, e se non si trova un documento non si trova un’informazione, quindi non si può collaborare.
  • La chiacchiera. Non è una perdita di tempo. La chiacchiera in corridoio spesso è fonte di ispirazione per la risoluzione di un problema, ci si scambia esperienze, trick sull’uso di tool etc. Replicare in digitale è molto difficile, forse è la parte più difficile. Gli strumenti ci sono, e bisogna lasciare spazio anche per questo. Non siamo robot.
  • Stabilire procedure. Le procedure o anche le consuetudini rendono il lavoro più agile. Non è vero che la procedura ingessa l’organizzazione, in realtà se si lascia sufficiente margine di manovra e si stabiliscono i capisaldi lasciando il resto libero, l’intero lavoro risulta più efficace.
  • Definire responsabilità, condividere obiettivi. In ufficio viene abbastanza semplice, da remoto molto meno. Chi-fa-cosa (nome e cognome) è necessario. Non si parla di mansionario ma, all’interno di lavoro per obiettivi, occorre sapere a chi rivolgersi per avere un’informazione che non si può avere in modalità self services (e torniamo alla tassonomia) e avere un obiettivo comune.

Dunque, ampio spazio alla creatività nell’organizzazione “agile” della giornata lavorativa, ma sempre con uno sguardo alla razionalizzazione del lavoro, premiando un nuovo tipo di collaborazione che annulla le distanze fisiche.

Questo è possibile con le tecnologie attuali: una tra tutte, Microsoft Teams. Ma cosa rimane delle alchimie che solo i rapporti “in presenza” sanno creare? È vero che alcuni aspetti del lavoro in presenza non possono essere digitalizzati, ma l’esperienza vissuta apre spazio anche alla costruzione di nuovi team di lavoro e contaminazioni più agevoli di esperienze, che a volte non sono così facilmente visibili con un approccio tradizionale.

La soluzione? Sta come sempre nel mezzo… anche nel mezzo digitale, in questo caso.

 

[1] La tassonomia è una struttura ad albero di oggetti appartenenti ad un gruppo di concetti. A capo della struttura c’è un solo oggetto, il nodo radice, le cui proprietà si applicano a tutti gli altri oggetti della gerarchia (sotto-categorie). I nodi sottostanti a questa radice costituiscono categorie più specifiche le cui proprietà caratterizzano il sottogruppo del totale degli oggetti classificati nell’intera tassonomia.

 

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