Quelli che ce l’hanno fatta (davvero?): le grandi dimissioni

Io non ho una opinione su tutte le cose. Sono di indole pigra e non mi riesce.

Perlopiù osservo gli eventi dalle finestre da cui si affacciano tutti e quando rientro e chiudo le persiane, è più lo stato di confusione che quello di pensiero. Non sono attratta dai grandi cambiamenti, mi interessano i piccoli eventi, le piccole questioni, i piccoli mutamenti. I segnali deboli.

Le grandi dimissioni

Se devo parlare del fenomeno delle grandi dimissioni, ad esempio, io non so bene che cosa dire, che cosa aggiungere a quello che già tutti dicono: che è colpa della pandemia, che i baby-boomers erano migliori, che i giovani non hanno voglia di lavorare. Io non ho delle risposte; mi chiedo solo se non sia presto per capire quello che significa uscire da una pandemia e trovarsi in mezzo a una guerra, mi chiedo se interpretare gli eventi mentre si svolgono magari non è saggio e che solo tra vent’anni, forse, potremo dire che cosa davvero è passato nella mente di chi un giorno, liberando la scrivania, ci ha detto: “Ciao, non ritornerò”.

E chissà dove se ne sono andati quelli che hanno cambiato vita, quelli che per qualcuno “ce l’hanno fatta”, che si sono salvati con le grandi dimissioni.

Io non so se ce l’hanno fatta, ma un po’ mi dispiace pensare che sia diventato un “fenomeno” da studiare: la libertà di poter cambiare idea su se stessi, di sterzare lungo la strada, di continuare a progettare la propria vita.

Nel corso delle mie giornate in azienda, spero di continuare a incontrare persone in cerca di qualcosa che non hanno mai provato, con la voglia e la curiosità di sperimentarsi per la prima volta in attività che non hanno mai svolto. E vorrei che pensassero a me come a qualcuno che conosce bene il gioco dell’esplorazione, l’euforia di provare a buttarsi, senza avere l’ossessione del lavoro per la vita.

Se sarò in grado di fornire un buon ambiente lavorativo, anche solo provvisorio, nel quale conoscersi e da lì ripartire, sentirò di aver fatto un buon lavoro.

Penso che la sfida in fondo sia questa: accogliere chi arriva anche da esplorazioni diverse, e forse accettare che qualcuno ci lasci lungo la strada.

Senza andare troppo in crisi.

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